La struttura della “pittura” – I muri (1955 – 2013)
Disposta su due registri, La Rocca (1955) svela in nuce la precoce intuizione del formidabile tema del muro che nel volgere di pochissimi anni subisce una rapida, fulminea elaborazione in grado di condurre alla felice, matura serie esposta nel 1958 alla Galleria l’Ariete di Milano, con l’autorevole introduzione critica di Franco Russoli. Qui a colpire l’immaginazione di Piattella, che, ancora studente universitario, da Urbino aveva già preso a correre lungo la Flaminia, sono le strutture medievali di Cantiano (PU) a sviluppo verticale che compongono i filari delle semplici case abbarbicate in spazi risicati, sottratti alla roccia sullo sperone che sovrasta, in una strettoia naturale, un tratto dell’antica consolare romana.
Tema, quello del muro, che nel 1957 aveva trovato potenti stimoli con i ‘Muri di Parigi’, carichi ancora degli orrori della guerra.
Sono anni densi di incontri e di confronti che ampliano gli orizzonti in una dimensione internazionale, e che portano rapidamente verso un’espressione compiuta ed originale, ricorrendo ad una materia di granulosa percezione, incisa come argilla, solcata come la terra dei campi rovesciata per un nuovo ciclo vitale, e che cela tutta la profonda attrazione dell’artista per la luce e per i modi, i segreti di catturarne l’energia per fissarla in una fonte inestinguibile di onde emozionali. Un uso della materia che gli consente di placare istanze di tridimensionalità e spazialità delle sue opere.
I primi passi mossi da Piattella, confermeranno nel prosieguo la direzione verso l’assorbimento vorace dell’Informale nel senso dell’ampio, libero utilizzo dei materiali, di una predilezione per una dimensione materica, e al contempo verso un crescendo distinguo manifestato attraverso la persistenza della struttura formale dell’opera, quando non anche, in alcuni periodi, la progettazione mediante il disegno degli studi preparatori.
In lui si ritrova un’eco di parte della pittura di Jean Dubuffet (1901-1985) deliberatamente circoscritta, però, al ricorso ai materiali non tradizionali, a quel fare pittura in modo non convenzionale che Piattella sa portare a risultati di elevato lirismo. E in parte della produzione di Piattella parrebbe a tutta prima di ritrovare anche traccia dell’opera di Alberto Burri (1915-1995). Ma è solo un’impressione di superficie in quanto Burri manipola con estrema efficacia la materia col fuoco al limite della sua dissoluzione, mentre in Piattella il ricorso al calore avviene per una elaborata e calibrata ricerca di infinite gradazioni di colore così che, per tale via, prendono corpo le opere della seconda metà degli anni ottanta dominate spesso dagli azzurri, che sanno cogliere la leggerezza impalpabile di una superficie fluida. E certo si comprende come in Piattella, a differenza di Nicolas De Staël (1914-1955), è viva e sempre vigile una scansione delle superfici generata da un magnetismo architetturale che non lo abbandona mai.
Il muro in Piattella, dopo le suggestioni parigine, riceve nel corso degli anni un nuovo robusto contributo in termini di impressioni visive con la costante, assidua analisi dei paramenti lapidei delle asciutte, poderose architetture medioevali della città di Gubbio: baluardo esterno nei territori appenninici pacificati dai Montefeltro.
Più o meno consapevolmente, ma certo con la grazia che tocca gli artisti talvolta per attimi fuggenti e talaltra, ma più raramente, per un’intera vita, Piattella esprime, con la ricerca tradotta sulle superfici delle sue opere, la questione del muro che è di straziante centralità nel Novecento. Ciò avviene attraverso differenti sapienti declinazioni che sono espressioni tangibili delle molteplici fasi di ricerca che si sono dispiegate. Perché al di là delle titolazioni, delle diversità che pure esistono, scendendo al di sotto dello strato emozionale indotto dall’impatto visivo con la materia e dalla rifrazione della luce, ecco che la struttura rimane costante a contrassegnare l’intera sua produzione artistica, fin quasi alla soglia del nuovo Millennio, che introduce ad una produzione completamente nuova.
Ma la portanza del muro rappresentato da Piattella si sviluppa lungo due differenti fondamentali direttrici. Prende le mosse da tasselli del reale costruito dall’uomo, ne richiama la presenza in sua assenza per condurre silenziosamente, passo dopo passo, l’osservatore, senza spettacolarizzazioni, senza espedienti aggressivi dinanzi ai muri politici in primis del Novecento. Perché quella che appare una sorta di ossessione che si dipana lungo la vita artistica di Piattella, quasi per l’intero, non sfugge alle proiezioni dell’ombra lunga e inquietante dei muri degli uomini contro le libertà, del Muro, non il solo ma l’unico a cui spetti la maiuscola: quello di Berlino. Questa lettura trova piena rispondenza in una frase emblematica di Piattella (riportata da Caramel nel 1990) che specifica come “queste superfici si riconoscono attraverso il riflesso del loro evento storico”. Esattamente come in Narciso, le superfici di Piattella ci rimbalzano, talvolta per la prima volta, non solo la nostra immagine ma il precipitato storico che è in noi e che ora ci appare dinanzi agli occhi.
Ma il muro di Piattella, nella sua doppia valenza, nella sua capacità di riflettere è anche porta di accesso ad una dimensione interiore che diventa amplissimo spazio di straordinarie profondità della mente. Proprio in tal senso Massimo Cacciari, giustamente, osservava come, nelle opere di Piattella “ciò che appare non è che il frantumarsi della Luce interiore; i colori non sono che il timbro che la Luce assume illuminando il ‘paesaggio dell’anima’”.
La dimensione interiore del muro in Piattella è, sia chiaro, altra cosa rispetto a quella rappresentata ad esempio dai Pink Floyd. In Piattella, infatti, l’interesse non si concentra sull’uomo moderno inquieto, alienato, irrimediabilmente scisso nel proprio io. La doppia valenza del muro che si direbbe ben presente nella produzione artistica di Piattella, è spostata su differenti note. Le opere di Piattella sono, infatti, percorse da un vibrante lirismo, sapientemente teso verso una dimensione di armonia.*
*Liberamente tratto da: Alberto Mazzacchera, Oscar Piattella: oltre il muro, cat. di mostra, Pesaro 2020.