Frammenti Antologia critica
1958
… In Piattella c’è un istinto, un vero istinto plastico e naturale che lo salva dalle facili soluzioni. Per convincersi basterà guardare i suoi fogli di china, i suoi albi di appunti dove la natura dei suoi luoghi è studiata in particolari e frammenti: siepi, radici, onde e conformazioni delle rocce, botanica e anatomia. Il giovane farmacista, durante gli anni di università, deve avere avuto una vera passione per i quaderni di Leonardo. Ma non spingiamoci tanto lontano. Teniamo d’occhio questo giovanotto laconico e simpatico che sa stringere la mano con antica, energica veemenza.
Raffaele Carrieri
… Il quadro torna ad essere un diario di cose viste, sia pur travasate dallo schermo dell’emozione individuale. Dove non troviamo questa ispirazione diretta, questa rispondenza ad un dato locale, ad un paese di elezione, sarà, forse, da diffidare. Si veda, ad esempio probante, la sincerità poetica di Tapìes, di un Chighine. Un discorso reazionario, a tarpare le ali di troppi voli nei regni dell’esoterico e delle fumosità bizantine. Ma Piattella è davvero un pittore spontaneo e raffinatissimo insieme. Ha saputo unire, intuitivamente, la forza allusiva, il patetismo schietto, del primo Utrillo con l’ironia altrettanto patetica di Dubuffet. Ha una forza di sintesi tra composizione e colore tra luce e invenzione grafica, quale è dato raramente vedere. Vibra, nelle sue tele, una sensibilità fatta di eccitazioni e di malinconia. Si noteranno ricerche di linguaggio in varie direzioni, sempre però sulla linea di una trasposizione lirica dell’immagine naturale. Sono le tappe del suo lavoro solitario, dichiarate senza trucchi. E i disegni (quel bellissimo album di appunti, così intensi, veri, immediati) confermano il giudizio sulla sincerità di ispirazione, e sulla qualità di invenzione stilistica, di questo nuovo pittore…
Franco Russoli
…Se Fautrier, di cui s’è appena finito di parlare, è all’origine, le pitture e gli inchiostri di Oscar Piattella esposti all’Ariete ne sono una conseguenza: e si può capire la derivazione se si tiene conto che il nuovo pittore, un farmacista pesarese autodidatta in pittura, non ha ancora trent’anni. Ma appena fatta questa constatazione, è giusto dirne tutti i motivi che lo separano e lo distinguono. Ma come ho già indicato molte volte, nella giovane pittura italiana è distinguibile, dentro un’area non figurativa, una forte aspirazione a riaprire un dialogo col mondo reale, con le stagioni, con le emozioni e le avventure del paesaggio, per ora in uno spazio e con accenti preferibilmente di intima liricità. Il quadro cioè, come dice Franco Russoli che presenta la prima mostra milanese di Piattella, torna a essere un diario di cose viste. Autodidatta, dice il catalogo: ma indubbiamente il pittore è informatissimo di quanto si muove nell’arte italiana in questa direzione…
Marco Valsecchi
1965
… In una zona di profondissima quiete dove è agevole ancora poter meditare egli ha volto lo sguardo su gli astri che discoprono la loro presenza in un bagliore di luce esatta o in un alone di mistero, nella immensità dei cieli notturni. Senza provocare urti angosciosi od emozioni deliranti, senza voler stupire egli ci propone oggi una contemplazione di misura leopardiana in un ordine mentale e lirico insieme.
Luigi Dania
1968
… La sua immaginazione non sottovaluta una continua relazione corpo/luce, non sottrae alla luce il suo fondamento concreto, naturale, la sua dipendenza – per ciò che riguarda il colore – da altri elementi. Non tesa, insomma, alla creazione di una eventuale mitologia planetaria (Vasarely, per esempio), sia pure con modi personali e diversi, ma piuttosto all’espressione di una mitologia terrestre. Ma non si comprenderebbe Piattella se non si dicesse che nel suo procedere egli compie, su queste basi, un’operazione logica tale da sfrondare ogni sospetto di facile ricorso a effetti non significanti. Ciò che gli preme fissare è anche una profondità, una forma, un movimento racchiusi in un’immagine globale in cui la luce non sia per così dire astrattizzata dalle sue fonti, né privata di una sua forza lirica.
Roberto Sanesi
1970
… Così Piattella ha un suo filo tematico di lirismo evocativo e che si snoda su una figura emblematica che, nei modi evocativamente più diversi, è l’asse della sua pittura da molti anni: il tema dell’albero, e che anzi meglio, come mi dice egli stesso, è “non solo dell’albero, ma dei cieli, delle nubi, del mare, dell’uomo, della donna, dell’origine”. È chiaro allora che l’albero è un termine estremo, originario, riassuntivo, albero della vita, e limite leopardiano sull’infinito, rilevatore del tempo, del ritmo eterno delle stagioni, del ritmo caduco della vita, simbolo cosmico e affettivo, persino sentimentale. È una presenza che Piattella articola negli anni nei modi più diversi, da un’evocatività vagamente immaginativa, in profili, o sezioni, alle più indirette trasposizioni degli ultimi anni in coriandoli cromatici e luminosi (personale alla galleria l’Ariete nel maggio del ‘68), fino alle strisce di cielo recentissime, “queste stratificazioni di cieli, visioni luminescenti di situazioni paesaggistiche e, in un rapporto più intimo, condensazioni della memoria, ricordi che affiorano e spariscono, lentamente, o con la velocità senza tempo, magiche previsioni di una dimensione superumana”.
Enrico Crispolti
… La pittura di Oscar Piattella – ad “Artivisive” – si costituisce come esempio di una autenticità libera da costrizioni di tendenze e capace di assumere le sollecitazioni culturali e le esigenze degli umani rapporti con un’autonomia di visione esente da ogni pressante riferimento. La sua posizione sembra risultare, in certo modo, “antropocentrica”, nel senso di una modulazione personale di invenzioni e di modulazioni espresse in una tensione cromatica che, se risulta di chiaro timbro astratto, parte pur sempre da una concentrata, personale responsabilità visiva.
Sandra Orienti
… Il tema di questa pittura si svolge come evoluzione di una ben precisa iconografia, quella dell’albero, inteso anche e soprattutto in senso emblematico, l’albero della vita, ciclo compiuto dalla radice al frutto, ritmo che si rinnova sui cardini della vita e della morte. L’albero con la chioma che si espande in tondo diviene il cerchio geometricamente perfetto, simbolo dell’infinito senza alfa né omega. Ma, a parte un’indagine di tipo contenutistico, sono interessanti certi rapporti di colore che creano straordinarie vibrazioni luministiche ed anche, direi, sonore. Queste ordinate e meticolose spirali si perdono verso il fondo di uno spazio illimitato, abisso incolmabile del tempo immobile…
Maria Torrenti Foti
… Dopo la mostra della Bernheimer, la settimana ci offre un’altra positiva sorpresa: la personale di Oscar Piattella alle Artivisive. Sebbene abbia già esposto in gallerie qualificate (due volte all’Ariete di Milano ed una alla Medusa di Roma) Piattella è ancora un nome quasi inedito: non a caso Crispolti, entusiastico presentatore di questa mostra, parla di un caso «Piattella». Relegato in una cittadina del pesarese, il pittore opera infatti «in una sua dimensione di spazio e di tempo, che naturalmente si è scelta e soprattutto si è conservata e coltivata, come luogo stesso della possibilità di quella sua indipendenza». I grandi quadri astratti di Piattella a larghe zone trasversali o a cerchi di colore vellutato e palpitante, più che da Morris Louis da Vasarely o da Bill, provengono da Rothko. Ma mentre nel pittore americano la luce non è mai naturalistica ed anzi è tutta mentale, questa di Piattella conserva sempre un aggancio con la natura.
Lorenza Trucchi
1973
… Ecco quindi Piattella, oggi affrontare decisamente il colore-luce senza alcuna mediazione simbolica. La decantazione della sua pittura, pervenuta ad un punto quasi estremo di rinuncia a quanto non è direttamente essenziale, lo ha portato a un’astrazione gravida di significati. L’elegia, la “condensazione della memoria” di cui parlava Crispolti, colma di risonanze non naturalistiche ma “naturali”, si esprime con il minimo dei mezzi: il colore in quanto “luce”, il quadro in quanto “campo” di energie luminose, nel quale la luce si modula e si declina in modo sempre uguale e sempre diverso.
Cesare Vivaldi
1975
…Voglio solo aggiungere, in questa mia testimonianza per l’amico che stimo, che qualche volta l’arte di oggi non analizza più il rapporto tra il «sé» e il «fuori da sé», ma, antistoricamente, un solo termine del rapporto: da ciò, forse, l’angoscia, la gratuità delle costruzioni della sola intelligenza o della sola manualità. Piattella riporta il problema alla sua giusta dimensione, non ignorando le «raisons du coeur», ma conducendo la sua esperienza sotto il segno della consapevolezza…
Claudio Verna
1977
… Si tenga presente la grande tradizione culturale per la quale, per usare le parole di Giordano Bruno, “… ha determinato la provvidenza che (l’uomo) venga occupato ne l’azione per le mani, e contemplazione per l’intelletto; de maniera che non contemple senza azione e non opre senza contemplazione”. È la tradizione filosofica per la quale il tutto si specchia in ogni minima cosa, sicché la tensione interiore che anima Oscar Piattella nella sua guerra corsara – (guerra di tipo piratesco ma di marca lealista!) – è la medesima nella quale si dibatte la nostra civiltà in questo momento della sua storia.
Giulio Angelucci
1978
… I titoli che accompagnano la mostra di Oscar Piattella sono: Grande Narciso, Piccolo Narciso, Il Settebello, Dieci per un Nero, Acquarello Primo. La mostra è un’analisi della luce vista come materia pittorica che si coniuga sulla superficie della tela secondo varie modulazioni. «Opera pensata unicamente in funzione della luce e della sua carezza, senza la quale non esisterebbe, scrive Cesare Vivaldi nella sua prefazione, allo stesso modo in cui l’alfabeto Braille è concepito per la carezza delle mani del cieco». L’opera segnala la capacità del colore di catturare l’elemento luminoso, la possibilità della superficie pittorica di trasmettere piccole rifrangenze, sottili impulsi luminosi. La mostra si muove sulla dialettica analitica in cui la pittura riflette sul proprio statuto e sulle proprie grammatiche, e di quello sintetico, in cui il dipingere ed il vedere diventano funzioni dell’esistenza…
Achille Bonito Oliva
… La luce si riassorbe sempre in se medesima: bianco su bianco, nero su nero, ogni quadro di Piattella è una superficie in cui, per dirla con Ungaretti, “tutta la luce vana fu bevuta”. Scomparsa è la luce “naturale”, stravolta nell’assoluto della neve o in quello del carbone, ma ha lasciato di se i termini (i riferimenti) essenziali, le tracce del suo scorrere, del suo rapprendersi nei fermi binari degli spessori cromatici, nella stesura geometrica, rigorosa, pazientissima di una materia pittorica strenuamente elaborata, strato dopo strato, pellicola dopo pellicola, coagulo di varie luminosità sedimentate una sull’altra, reciprocamente annullantesi eppure nell’insieme componenti una luminosità nuova e diversa (solo mentalmente, tale è la durezza dell’amalgama, scomponibile nelle sue varie fasi d’accrescimento), e soprattutto veicolo grazie al quale la luce vera, la luce appunto “naturale”, ora respinta e ora assorbita dalla superficie ne scandisce e articola il ritmo strutturale, costruisce materialmente l’opera…
Cesare Vivaldi
1980
… «Ci sono degli uomini che sono soltanto degli uomini della terra, altri degli uomini della terra e del cielo, altri degli uomini della terra, del cielo e dell’infinito» (Renè Char). Oscar Piattella appartiene a quest’ultima specie. La sua arte, si rivela nella relazione che ha con i diversi elementi, nessuno escluso. Nelle sue opere tutto interroga e tace, medita e traluce. Quando ti credi in cielo, sospeso, basta il dorso della tua mano per farti ricredere. Il contatto è geologico. Sotto ad una superficie lucifuga spazzata dal vento, c’è una materia ruvida e densa, vischiosa come la pece. Ma se credi di aver fatto la conoscenza dei catrami sotterranei della materia originaria sei presto disilluso perché la sua creazione si riproduce e propaga lungo le orizzontali deserte della bellezza.
Ugo Amati
1982
… Il tema della mostra è: «I muri». Si tratta di opere singolari che traggono origine da una esplorazione, da una stratificazione di memorie costantemente reinventate. Quasi come un viaggiatore dei secoli andati, Oscar Piattella da un suo personale «Grand Tour» ha raccolto le immagini più suggestive di muri appunto -Badia di Fiesole, Tempio di Gabi (Roma), Palazzo Ducale di Urbino, Villa di Domiziano a Sabaudia, etc.- che sono stati da lui come ricostruiti al vero. Ma non si tratta di un facile modellismo chè, nel ricreare in maniera plastica queste strutture, l’artista ha raggiunto risultati che vanno bene al di là di una riproduzione pura e semplice. L’imitazione infatti non è mai fine a se stessa, è sempre il pretesto per uscire da una dimensione del reale.
Luigi Lambertini
… Un “terzo occhio”, quello di Piattella, che ha il senso tattile, alla presa visuale, dell’appropriazione materica dei segni del tempo mutuati nella “geometria primordiale” dello spazio, magari per trovare un “soggiorno d’immortalità” nell’opera muraria… Ma, forse, più dell’opera in sé, esteticamente fruibile, all’artista pesarese interessa il “per sé” dell’opera sul farsi, quale “reperto” del proprio “esserci” alla messa in opera. Così “il tempo si cambia in spazio”, come suggerisce Guénon; mentre, di pari passo, il percorso del “segnatore” Oscar Piattella ricambia lo spazio del luogo in tempo del rito, quale metamorfosi infinita del reperimento di immagini sempre in divenire circolare, dal tempo allo spazio e dallo spazio al tempo nella magica sospensione di un’anamnesis rivissuta memorizzando la materia del proprio attraversamento spazio-temporale.
Miklos N. Varga
1986
… E, infatti, è qui che il Piattella indagatore delle cortine murarie di Gubbio con l’occhio della fotocamera compie la felice operazione di trasporre pittoricamente, su pannelli di dimensioni inconsuete, sia il paramento murario di S. Maria di Collemaggio a L’Aquila (in altra occasione sperimenta variazioni grafomateriche sul tema del “mazzocchio”, già indagato prospetticamente da Paolo Uccello) e le facies di tassellature pavimentali romane, sia, con una escursione ricognitiva nel mondo minerale e vegetale da cui preleva materiale vario che impasta con i colori, i muri corrosi dal tempo: traccia in tal modo un nitido percorso da ricostruire, astraendoli da una realtà che ne custodisce la memoria ma non la temperie civile, le invenzioni dell’uomo per opporre tra sé e gli altri la barriera di uno schermo, solido o meno solido, grezzo o nobilitato da motivi ornamentali, per preservare il suo bisogno di solitudine e la sua intimità…
Carlo Melloni
1987
… Da trent’anni Oscar Piattella (Pesaro 1932) porta avanti con estremo rigore la sua ricerca, senza nulla concedere agli umori di stagione. “Isolato” tra i monti umbro-marchigiani, a Cantiano, ma attentissimo all’evoluzione artistica contemporanea, Piattella scandisce i sottili mutamenti del suo operare solo dopo una lunga riflessione. I quadri trovano tutti origine dal fascino che Oscar Piattella prova per i muri, nobili e plebei, che con intenso senso della storia e con certosina pazienza fotografa in Italia e fuori: dalle prime raffigurazioni informali, attraverso le bianche geometrizzazioni concettuali e l’alchemica presenza dell’oro o della bruciatura del materiale, arriviamo agli ultimi lavori in cui predomina il colore azzurro. Così il simbolismo del muro e il gusto per l’elaborazione manuale vengono potenziati da un colore carico di riferimenti a realtà concrete e sognate, e soprattutto capace di produrre un senso di infinito…
Giorgio Bonomi
Sempre nel 1978, la Metamorfosi infinita: “grande tavola del tempo, dello spazio, della vita, del mio lavoro, dove ogni ventata solleva uno strato di polvere e scopre segni più antichi, ma sempre pronti a stillare liquidi ricordi”. “Una tavola dilatabile all’infinito, dove il perimetro è solo un darsi una regola, uno stabilire i termini del linguaggio: … un confine per poter ancora rimettere tutto in discussione, per aver da ridire, per espandersi, e ancora espandersi, nel tempo, nello spazio, nella vita, ricalcando questa infinità , l’infinito dell’uomo, dello spazio, del tempo”. Non equivocabile, a questo punto, grazie anche al codice che l’artista stesso lucidamente ci offre, il definito suo appuntarsi sui reperti di antichi storici palazzi come su più umili paramenti murari urbani e rurali: ove c’è sì il dialogo con l’ieri, ed il suo immediato raccordarsi con l’oggi, ed anche, indubbiamente, un’intenzionalità di investigazione sistematica, da cui è tra l’altro nato nel 1982 un magnifico libro su Gubbio, realizzato in collaborazione, ma segnato tutto dalla “poetica” di Piattella…
Luciano Caramel
… Seduta sul divano ascolto Piattella che narra la sua storia, prendendo le mosse da Parigi, dai muri corrosi, sventrati di Parigi, dagli impasti di terra e colle sulle tele. Ho tempo di domandarmi, poiché è lui che conduce il discorso, quante volte abbia raccontato questa vicenda, a chi e perché. Parla interrogandomi. Gli chiedo di Pesaro, la città natale; la città della giovinezza prende il volto di due artisti. “Sandro Gallucci era dotato di una grande certezza morale, aveva una sua aristocratica sensibilità di fronte alle cose, rendeva l’atmosfera intorno agli oggetti, interpretava la natura morta come il ritratto, era aperto ai giovani, era un maestro; Nanni Valentini: tutti aspettavano da un momento all’altro che uscisse, possedeva una grande potenzialità creativa: era l’amico con cui ho diviso lo studio, ma la morte ha spezzato, interrotto…” Un momento di intensa commozione sospende il battito regolare del tempo…
Silvia Sassi Cuppini
1990
… Infatti, la materia sembra privilegiata solo per esaltare il colore: così, questo dialogo magico dell’oro e del nero per i pezzi chiamati “icone”. Non sarebbe il caso di preferire quelle variazioni di blu e di nero sulle quali Oscar Piattella ha molto lavorato? Blu e nero. L’azzurro e la notte. Aghi scuri guizzano come lampi che bucano il cielo (Piccolo progetto). Contorni irregolari generano una geografia lunare (Inverno). Piattella si è espresso nella ricerca di una “idea del colore” che immagina idealmente staccata dal “turchese, dall’oltremare, da lapislazzuli, dal celeste, dall’indaco, dal cobalto”. Così, Piattella si allontana da ogni figurazione. Vuole fare esistere il colore come tale. Meglio ancora; lo elude: testimoni, i suoi muri bianchi, muri sudari, di cui bisogna scrutare la superficie per svelare gli incidenti, gli sgretolamenti. Luogo di solitudine, di raccoglimento. Luogo mentale…
Martine Arnault
… Il piano è organizzato attraverso strutture reticolari, con incastri che riprendono il disegno delle murature, da cui evidentemente derivano: con una sfalsatura, quindi, tra le fasce orizzontali, regolari ed uniformi, e l’andamento zigzagante, invece, ad una lettura dall’alto in basso, della successione dei 140 rettangoli, che dinamizza l’immagine. Che è ulteriormente, entro i singoli tasselli, vivacizzata dalle frastagliature dei margini combusti, che talora lasciano trasparire il fondo più chiaro, con esiti di franta luminescenza. Fino a ricordare certe più antiche soluzioni in cui il sistema di zone seriali geometriche cromaticamente uniformi si accendeva negli incontri di strette linee dai molti colori, quasi ad alludere a un sottostante naturale fenomenicamente vario, che entrava in dialettica con l’artificialità dell’organizzazione analitica della forma. Lo stimolo, certo, era il medesimo – di partecipazione emotiva, di fantasia, di sensi – che induce ora Piattella a trasformare manifestamente gli sfondi in cieli, con uno scarto dalla nozione mentale alla sensazione innervata del radicamento nel fenomeno.
Luciano Caramel
… C’è stregoneria in questo ex chimico. È infatti impossibile svelare la tecnica dell’artista che intarsia, con una precisione diabolica, nelle sue opere, piccole e grandi superfici di tela rettangolari, forse dipinte ma più verosimilmente bruciate dal fuoco o dagli acidi. Emana una piacevole impressione di cangiante. Ma opere di piccolo formato, realizzate in bianco su bianco (secondo un procedimento analogo), con rilievi infinitesimali, captano ancora di più lo sguardo…
Marc Hèrissè
“Come non vedere che la natura ha il senso della profondità? E come sfuggire alla dialettica di questa ambigua civetteria che di tanti esseri organizzati mostra e nasconde in modo tale che l’organizzazione vive in un ritmo di occultamento e di ostentazione?” (Bachelard) Tutto è apertura e paesaggio nelle opere di Oscar Piattella, perfino la tela stessa potrebbe prolungarsi all’infinito. Le sue composizioni raggiungono l’unità superiore. Come i muri, ogni pietra collega la parte al tutto. Nelle sue ultime opere, la luce si diffonde in una “trama” più ampia. Rimangono solo alcune linee di composizione, che tracciano lo spartito musicale del colore e ritmano le sue ondulazioni. Oscar Piattella impone lì un grado di contemplazione dove il colore diventa piena e pura sensibilità: “Il colore è sensibilità divenuta materia, la materia nel suo stato primordiale” (Klein) …
Virginie Gimaray
Miscela di rigore architettonico e di colore, Oscar Piattella ci porta in un mondo di sensibilità dove tutto si svela attraverso il tempo. I numerosi pezzi di stoffa scura che costituiscono le sue opere più recenti, si dispongono così con una certa rigidità, ma lasciano trasparire dei colori, spesso vivaci, come per dare un equilibrio, una specie di autoregolazione alle sue opere. Oltre queste piccole tessere sapientemente disposte, Oscar Piattella distilla altri elementi sopra questi frammenti di tessuto tagliati a regola d’arte, richiamando all’occhio la libertà d’azione di cui si nutre l’artista. Trattando la materia come un segno, una realtà, Oscar Piattella, preso tra la freddezza di vecchi muri e una foga tutta latina di colori vivaci e dalla sensibilità esacerbata provoca, attraverso le sue opere, una ricerca di equilibrio e di saggezza che danno all’occhio un piacere non dissimulato…
Alain Plas
1991
… Così, come uscita da una lunga incubazione, giunge infine, al 1984, l’attuale stagione: nella quale Luciano Caramel ha di recente riconosciuto “la tensione ad una riconquistata elementarietà attinta in nuovi, essenziali muri, ove vanno rivendicando prioritaria cittadinanza quei fattori più propriamente pittorici – in direzione della vibrazione luminosa della superficie, ed anche sul piano cromatico – che i precedenti, più concettuali interventi inevitabilmente avevano relegato ad un livello secondario”. E, da quel limite cronologico ad oggi, la via del pittore marchigiano s’è aperta, senza cesure o cedimenti, verso esiti qualitativi omogeneamente alti, ogni giorno più certi di se stessi e della propria verità. Sono pareti di colore, cresciute su di un unico timbro cromatico, costruite da un lento, paziente ordinarsi di tasselli rettangolari che giungono sovente a saturare l’intero campo della pagina pittorica. Paiono, a prima vista, inseguire la distante assolutezza, la casta reticenza del monocromo, appena variata ma non percossa nella sua algida misura mentale dal gioco sottile della geometria. Sono, in realtà, tutt’altro. Sono pareti di sensi emozionati, di voluttà febbrili, di passioni sperate, inseguite, toccate dalla mano: entro l’ordine strutturante della partizione geometrica, che è il canone da sempre necessario a Piattella per dar voce alle devianze dell’animo, alle voluttà cieche dell’istinto, alle invincibili malinconie della memoria…
Fabrizio D’Amico
1993
… Questa appassionata difesa del lavoro portato avanti giorno dopo giorno, come continuo gesto esperenziale passato attraverso il filtro della coscienza, si configura come una testimonianza toccante, la cui valenza s’imprime in una forte impronta etica. Alcune di queste prove recano il titolo Progetto, ed è in particolare su una di esse che si è soffermata la mia attenzione. Presenta un’immagine centrale a forma quadrangolare, ripartita in tanti tasselli di stoffa, la quale si sovrappone, creando un leggero rilievo, su un fondo anch’esso di stoffa ma dalle trame più grezze ed irregolari. La nota coloristica “d’arrivo” è l’azzurro, difatti le stoffe ne sono in qualità diverse permeate. L’azzurro disomogeneo del fondo, anche se non di un fondo neutro si tratta, ma di una spazialità che si definisce compiutamente come fatto pittorico, è diverso dall’azzurro più carico delle tessere, ognuna distinta dall’altra perché il colore vi si è fissato in quantità e in qualità eterogenee…
Bruno Ceci
1994
… La congruentia partium, manifesta nell’abside di San Murialdo, è infatti presente nell’opera di Piattella sin dall’inizio nel rapporto relazionale dell’ile. E l’abside non è opera esterna al suo modo d’essere, ma la summa in cui sfociano la sua pittura e le sue idee. Il tutto appare presente alla parte come attualità del suo senso e come determinazione del suo fine. Questo vale per San Murialdo, ma vale anche per Piattella, perché in entrambi le azioni si assommano: per il Santo, nella rivelazione della sua santità e nel suo intendere il mondo come teofania; nell’artista, come coscienza estetica e come prodotto della sua storia manifeste nel suo stile. Nella grandezza dell’abside, Piattella ha perseguito – riuscendo a conseguirlo – quel tutto unitario da cui emana la bellezza che dice, nel visibile, l’ineffabilità dell’invisibile. La tessera, nella sua determinazione, prima tendeva alla negazione del tutto; nell’abside il problema si capovolge risolvendosi in sintesi, perché le tessere diventano l’espressione dell’attività totalizzatrice…
Francesco Lista
… Piattella ha sfruttato la libera espansione propria dei colori all’acquerello – qui intensi, in accostamenti tonali o stridenti – per creare immagini non definite, metamorfiche; memorie di paesaggi ante-cultura, forse emerse dai singoli moduli che componevano i quadri di ieri. Un colore in divenire, acceso da primordiali bagliori o persi tra misteriose ombre; che si fa spazio e sconfina in più dimensioni all’interno di ascisse e ordinate ora discrete e non repressive. In altre parole, è come se un Mondrian meno intransigente avesse deciso di regolare l’informale senza bloccare l’emozione. In questo contesto di accenni all’ordine geometrico e di vaporose cromie, si instaura un rapporto dialogico tra la struttura intenzionale /e spontanea, tra il «presente» e l’«oltre», che frena l’abbandono romantico…
Luciano Marucci
… Il racconto presente in questi ultimi lavori di Oscar Piattella non riguarda più il referente naturale che sostanzia i suoi lavori, ma la sua stessa storia in relazione al resto del mondo, la sua vita di artista e il suo fare nella natura, nel mondo, nel luogo. Egli continua con sempre più tenace passione a spiegare e chiarire, le fonti, i riferimenti, le allusioni che vivono attorno e precedentemente alla nascita dell’opera: è sempre meno la storia dell’albero o del muro, ma è sempre più la storia dell’artista Oscar Piattella, che è anche la ragione unica del senso della sua arte: “Il luogo sei tu” e “Le cose sono mitiche in quanto tue”. In questa fase della ricerca di Piattella la ragione mitica della sua fattività artistica lo porta più vicino all’origine, a un passo dalla fondazione e dalla nascita. Compaiono organi femminili, segni nervosi, aggressivi, immagini vaghe, mai figure. Essi esplodono sui muri e sugli alberi, invadono la superficie dell’opera, impongono un significato unico e forte: la donna, l’eros, la nascita, l’origine…
Antonella Micaletti
1995
… Così sono venuti questi acquarelli: come un’improvvisa vertigine nel corso d’un lungo e saldo cammino. E, come un’onda di libertà, è nato con essi quel colore rigoglioso che li riempie; e son giunte quelle luci nette, talvolta clamorose che li inondano. Tramato dalla luce, e accanto stordito dall’ombra, il colore s’impenna, inorgoglisce, monta a figura; poi crolla e s’assopisce in lenti gorghi notturni. Nel suo corpo, ora turgido ora stanco, crescono esplicite – come forse non mai, in Piattella: se non, talora, in certi dipinti tormentati di materia dei primi anni Sessanta – le suggestioni di un orizzonte, di una nuvola, di una schiuma di mare, di un volto. Non è, naturalmente, una tentazione banalmente referenziale che innesca ora questo reingresso d’immagine: ma il modo in cui la nuova libertà dell’oggi consente alla memoria, che è sempre stata salda pietra da costruzione nella pittura di Piattella, di riaffiorare per sparse tracce. Pittura di colore, dunque: consapevole certo della altissima tradizione che essa ha saputo scrivere nella vicenda della pittura contemporanea. Eppure a questo fascino gli acquarelli odierni di Piattella non vogliono abbandonarsi completamente. E come conservano avvinto alla dimensione della memoria un loro fondante canone espressivo, così recuperano al loro interno almeno due altre antiche vocazioni del pittore. L’una, e la più evidente, risiede in quella intenzione serbata di scompartire la superficie del dipinto in partizioni geometriche: seppur, rispetto a prima, essenzializzate, fino alla semplice indicazione d’una ascissa che viene a coincidere con la linea d’orizzonte.
Fabrizio D’Amico
1996
… Ecco rinascere, con intensità poetica forse mai prima raggiunta, l’antica stasis, la durevole guerra di Piattella tra il Logos e il Cosmos. Già avevamo intuito questa “astanza” – per dirla con Brandi – in qualcuno dei dipinti dei cicli ‘Superficie’ dell’89 e ‘Azzurro’ dell’anno appresso. Ma in ‘Ociroe’ e in ‘Zeuxo (tanto per citare due tra le nove splendide stampe ideate da Piattella) ogni struttura, ogni architettura è venuta meno: i segni, i filamenti, le masse che irrompono in questi “notturni” appaiono liberi da ogni confine, da ogni forma prestabilita. E sembra veramente impossibile che, con i mezzi propri della grafica, con matrici sovrapposte, Vincenzo Tiboni, lo stampatore della ‘Posterula’ di Urbino, sia arrivato a restituirci così integralmente quel che di volatile e instabile singolarizza la tavolozza, di Piattella…
Floriano De Santi
1997
… “Col Tempo” ho seguito con Simpatia i risultati dell’“Opera” di Oscar Piattella (Giovane Eremita degli Abissi Colorati): dai “Muroritmo”, alle “Combustioni”, ai problemi del “Quadrato”, fino alle mature superfici che io definirei in oggetto: “Acque Lucide”. È stata la Sua una ricerca pittorica in salita dagli Inferi del sentimento Materico e del Razionale pratico all’oltre: piano, piano, su, su in cima, passante per i distillati Bagni di Tela con l’Elisir del Piano Lucente. Vi narrerò solo delle sue ultime Cartografie in Sogni Liquidi. Dapprima la Tela del Mondo viene tinta con pazienza: da ricordi ancestrali e perfino da eclissi mentali, poi umilmente si cerca di riconoscere il caos ma non di gestirlo. Ecco che dal sottoscala umido dell’inconscio affiorano e provocano evanescenti isole azzurrognole, con profili dorati, che dovrebbero essere reali nelle Sua Visione di Aeropittura dell’Esperienza di Campo Trascendentale. Con finezza da Oscar, Piattella dipinge con umore i suoi erranti paesaggi tracciati con Segreti Celesti fluttuanti ma circostanziali. Dal polline cosmico al cuore di un fossile, dal culmine di un balenio a ventimila leghe sotto il mare, da una notte solcata da una cometa, ad un profumo di viola, tutto è registrabile da Oscar con l’entusiasmo e la certezza che il fissare un “Quadro” non è vano…
Bruno Ceccobelli
… Diversi dipinti di Oscar Piattella hanno come titolo Gemmazione. Qui appare ciò che Gaston Bachelard (La Terre et les rèveries de la volontè, 1948) chiama, con altri sogni, “la fantasticheria pietrificante”. Le gemme, le pietre preziose sono sognate. Diamante, acquamarina, ametista, berillo, smeraldo, calcedonio, carbonchio, lapislazzuli, zaffiro, topazio, turchese… Le pietre preziose sono colori, fuochi, getti. Ovvero, la pittura nasce dalle gemme frantumante. Fa notare Virginia Woolf (in Orlando): “Quando colori brillanti come il blu e il giallo si mischiano nei nostri sguardi, un po’ di polvere resta nei nostri pensieri”. Così, il lapislazzuli ed il topazio penetrano la pittura, gli occhi, i ricordi. O ancora i muri banali, per le macchie, sono preziosi anche loro, quanto il diamante e lo smeraldo. Piattella insiste sulla macchia di Leonardo da Vinci. Nei quaderni, Leonardo da Vinci propone di aprire l’intelletto a diverse invenzioni: “Se tu guardi dei muri imbrattati di macchie o fatti di pietre di diverse specie, (…) ci vedrai paesaggi diversi, montagne, fiumi, rocce, alberi, pianure, grandi vallate e diverse colline. Ci scoprirai lotte e figure di rapido movimento, strane arie di visi e vestiti esotici, ed un’infinità di cose che potrai ricondurre a forme distinte e ben concepite”…
Gilbert Lascault
1998
… Oscar Piattella ha preso consapevolezza dell’Origine che ha permesso l’Inizio dello svolgimento artistico e, aderendovi, si è liberato dei grovigli e degli inganni possibili e, liberandosi, ha potuto far emergere tutte le occasioni di poeticità, tutte le occasioni di semantiche che erano in nuce. Da un linguaggio primordiale, ha costruito singolare e viva lingua. E allora ecco i gialli addensati e risaltanti col nero che si distendono per rigonfi di luce; ecco le trame di nero e di bruni che nascondono sottili lamine di chiarore e lasciano oltre di sé che la luce venga avanti: ecco una sabbiatura di grigi che nell’impasto carminio negano se stessi come neutralità ed ancora danno aperture ai gorgoglìi e ai singulti della luminosità; ecco montagne e muro e libri di azzurro in simbiosi sottile ed ambigua con l’oro a dire la forma della luce, a dare forma alla luce…
Ettore Bonessio di Terzet
1999
… Ecco la «materia» di Piattella, mutata, mescolata, amalgamata, frammista, effusa in gemmazioni, proposta in differenze e somiglianze, che svapora e si ricompone: eccola che si offre «in un fulminante qualcosa» obbligandoci a pensare in poesia. Gianni D’Elia infatti, che è un vero poeta, ha scritto per il catalogo della mostra una magica presentazione, fissando fra analisi ed emozione, quel misterioso rapporto intellettuale che si può instaurare, fra uomini e materia, – natura e linguaggio, futuro e memoria, fra i colori e sentimenti, in virtù dell’arte…
Ivana Baldassarri
… Nella ormai lunga storia pittorica di Oscar Piattella c’è una costante profonda, alla quale non sempre ha dato direttamente voce, e che tuttavia ne caratterizza ormai sostanzialmente la vicenda creativa. Ed è certamente un istintivo riferimento alla matericità come fondamento di un “esserci” che sente intimamente il rapporto con la realtà in quanto totalità ambientale di natura, anzitutto, ma anche di storia. Di natura come presenza avvolgente, e tuttavia mai percepita in quanto distanza in qualche misura paesistica (e non tanto perché la sua scelta di pittore di fatto sia risultata ben presto d’intenzione non rappresentativa), ma quale imminenza di rapporto, ascolto ravvicinato, confronto diretto, sentitamente allertato, e al tempo stesso sospinto in uno spessore di memoria. Di storia dell’uomo, tuttavia anche. Dell’uomo che ha costruito nel tempo segni di una sua volontà di contrapporre al disordine naturale un proprio ordine diverso ma non perciò innaturale. Che è poi la grande lezione formativa della cultura proto-rinascimentale centro-italiana, urbinate.
Enrico Crispolti
… Mi chiedevo dell’intuizione, suscitata dalla visione e dall’ascolto successivo della visione nella memoria dell’opera: ma certo era anche l’ascolto dell’uomo, del vivo, della persona che avevo davanti, dell’artista in carne e ossa, del suo modo di aprirsi e confidarsi con qualcuno da poco conosciuto, come se fosse un vivo famigliare, un sempre conosciuto; e allora è l’etimologia del sentimento, e non solo della parola e del concetto, a mostrarsi: non si conosce chi si incontra, ma si incontra chi (già) si conosce, l’espansività dell’artista fanciullo, la sua voglia di comunicare con l’altro, con gli altri spazi, con gli altri tempi. A me sembrava di continuare una delle mie passeggiate sul mare, lungo la riva della città e dell’epoca. A quel punto cadono tutte le categorie, realismo, astrattismo, informale. Le ostriche incapsulate col vinavil sulla tela pungono come stelle, e così gli strati di polveri di terre, sabbie e frammenti, l’architettura sublime delle foglie, la loro corona intrecciata da un vento che si direbbe fermo e gentile, innamorato di ogni molecola di spazio-tempo e di vita; a richiamarci l’incredibile poesia della materia mutata in energia, in un valore e in una cortesia che l’ammiratore dei quadri di Piattella può solo tentare di riconoscere come evocazioni stilnoviste; a voler riconsegnare la spiritualità della materia alla nostra grande tradizione volgare che, da Giotto a Dante, sta alle origini di ogni avanguardia ancora possibile…
Gianni D’Elia
2002
Ed ecco Oscar Piattella. Non è forse la stessa intuizione che dirige il suo lavoro quando lo si vede curvo su cose che esistono solo ai limiti della forma, cose raccolte, cose-materiale, cose dalle quali risale ciò che rimane al di qua del nostro sguardo appena esso si vota all’azione, si affida al linguaggio, in altre parole quasi costantemente? Oscar Piattella, allora, è un altro di questi testimoni dell’elementare di cui abbiamo bisogno per ricordarci della trascendenza dell’essere sulla parola, per tenere vivo in noi questo altro del senso che ci richiama a ciò che noi siamo di più vero; poiché dopo tutto, sotto la superficie sottile dell’ io, c’ è la stessa profondità non-dicibile della massa del mondo. E la conferma di questo livello dove si attesta il suo impegno artistico, è, in primissimo luogo, la sua maniera di usare il colore. Essa si radica in un nero assoluto, un nero che non è quello della notte ma del dentro delle cose, il nero dell’assolutamente impenetrato, il nero del luogo dove l’idea stessa del nero non ha più senso; e sotto il segno di questo carbon-fossile essa è colore essenzialmente materiale, colore come non si vede alla superficie del mondo se non quando questo trascina su in superficie ciò che sta al disotto. E dell’azzurro, sì, spesso, a Oscar piace, e con quale fervore, l’azzurro, ma allora è l’azzurro come quando lo si vede farsi intenso, incavarsi nel cielo d’estate, un assoluto che trascina lo spirito nel non-visibile, nel non pensabile: questo silenzio vertiginoso della caduta nel cielo, del cadere all’infinito nell’azzurro del cielo di cui i bambini sono capaci, di cui gli adulti sono capaci…
Yves Bonnefoy
Altre volte ho scritto della pittura di Oscar Piattella: e – mi accorgo adesso scorrendo quelle pagine, qualcuna ormai distante nel tempo – sempre dicendo d’un dissidio latente nella sua immagine, d’un confliggere talora aspro, in questa sua pittura, fra un luogo e l’altro della mente, del progetto costruito attorno ad essa. Fra materia e materia (abrasa, interdetta; o all’opposto quasi voluttuosamente incitata a sognarsi); fra colore e struttura, fra memoria e flagranza; fra luce ed ombra. In quel dissidio, ritenevo di poter riconoscere la scintilla che avrebbe infine garantito all’ immagine la sua peculiarità. Oggi, di fronte alle cose più recenti di Piattella, sono tentato, almeno all’ avvio, di dire – diversamente – d’una integrità, di una pienezza, di una raggiunta concordia: perché davvero, dinanzi a queste ultime sue tele, si ha la percezione di un tragitto giunto ad un suo culmine: ad un suo luogo buono ove i lunghi, lenti ragionari sulla pittura, su quanto la costituisce, su quel che le è concesso e interdetto, si siano sopiti, e come fatti da parte: per lasciar campo ad un’effusione dei suoi talenti ora in tutto libera, e capace di stringere in una sola immagine quel che prima era disperso.
Fabrizio D’Amico
Anche la vita di Piattella sembra essere, in certo qual modo, un lungo, vibrante retentissement, una eco che ascende e che muta sfilacciandosi nell’aria e correndo tra le querce, mentre passano anche i decenni della vita e dell’amore. Da questa eco della natura e dei suoi interpreti – il vento la roccia la pietra rosea del Catria la neve che arriva gli arbusti grami la quercia verde il tronco segato le pareti di Genga che trasuda acqua – questo ribattersi giunge a cercare una tela, una tavola, un tavolo dove appoggiarsi, una forma bidimensionale. Partecipa a questo quieto industriarsi dell’officina la coppia romantica più famosa della poesia europea, il sentimento del tempo e il luogo ritrovato. Due pensieri dominanti, due dimensioni dell’esistere che Piattella accomoda l’uno accanto all’ altro come sulle pagine dell’ erborista. Forte del suo rifugio montano, Piattella apre ogni via a questi sentimenti, la sua quotidianità -del resto – è fitta di assalti della natura, incontrati ad ogni passo, ad ogni sguardo. Non è a caso che le sue origini di pittore siano legate all’ informale, stagione espressiva d’ogni nutrimento terrestre. La più lunga tra le sue età più espressive è quella dedicata alle muraglie, e adesso la sua pittura va cercando colori e profumi d’una natura, quella delle felci e delle conchiglie, perfino doviziosa. Più tardi, sarà pronta a trasformarsi in luce.
Andrea Emiliani
… Ricordo un mare di disegni, la maggior parte dei quali realizzati a matita o a carboncino. Erano il segno visibile di gesti veloci che avevano lasciato le proprie tracce. Erano così numerose e vicine, le une alle altre, queste tracce, da sovrapporsi a volte, per finire con l’apparire una materia magmatica. Alcuni disegni erano colorati, di un azzurro intenso oppure rossi, gialli, raramente ocra. La produzione disegnativa di Oscar Piattella è intensa, come dovrebbe sempre esserlo quella di un qualunque pittore e scultore, dal momento che il disegno è il punto di partenza e di arrivo di ogni artista visivo ed è la palestra in cui la mano si allena senza sosta. Ma anche la produzione pittorica non è da meno. Nato come pittore informale materico negli anni cinquanta (l’altro informale, quello gestuale, come già detto, è rimasto proprio del suo disegno, mentre nella tecnica pittorica è la materia che lo conquista con le sue infinite suggestioni), pur lambendo negli anni altri indirizzi (come l’interesse per la Nuova Pittura e le superfici monocrome) egli è rimasto sostanzialmente fedele alle sue origini, ritornando, trent’anni dopo, a riproporsi attraverso un neo-informalismo sempre di natura materica.
Armando Ginesi
L’armonia, l’equilibrio, la serenità, la modestia e la discrezione sono senz’altro le mete nuove, meno retoriche e trionfalistiche di quelle del passato, da scoprire o da riaffermare. In questo la traccia di Piattella è lineare e mirabile, dal paesaggio agli elementi dei quali è composto. Si potrebbe dire, e non è un paradosso, che egli abbia indagato su grandi estensioni, a partire dal paesaggio, l’essenza di un genere solitamente espresso a tutt’altra scala: quello della natura morta. Ma il suo percorso prosegue oltre come un dono umile, si spinge a sottolineare l’essenza dell’atto creativo che sa scomporre ma anche comporre, che non si smarrisce e non si spaventa di ammettere la povertà e l’essenzialità del reale.
Francesco Scoppola
2004
Piattella con la nuova materia – pittura allo stato puro, senza mediazioni trasferisce nel medesimo tempo l’ombra e la luce in primo piano. Le strutture solidificate e leggere trascrivono il suo rovello; le luci incalzano; entriamo con lui nella magia dell’immaginazione. È una sequenza di segni e di invenzioni che vanno a ricostruire l’universo strutturale da cui era partito, quasi cinquant’anni fa; universo cui è tornato con la forza caparbia della conquistata consapevolezza. Si muove verso la luce e attraverso la madreperla esprime emozioni; come prima parlava attraverso il tufo, il carbone e ogni materiale di Natura (da scriversi infine con la N maiuscola), raggiunge con la madreperla un modello espressivo che, idealmente e culturalmente si muove per conquistare la luminosità interna alle cose. La pittura ha nella sua millenaria storia portato la luce sulle cose. Senza venir meno al sotterraneo, al segreto, all’oblio, che avvertiamo in filigrana; ma senza nemmeno esaltare più il buio, l’ombra , la terra, il carbone il nero da cui era partito.
Mauro Corradini
Come lo immagino Piattella prima di dipingere? Non lo vedo dirigersi en plein air con il cavalletto, con la predilezione per l’esaltazione impressionistica della natura; piuttosto, chiuso nel suo laboratorio, lo vedo come monaco intento a meditare e a stipulare un rapporto diretto con la propria memoria, ove sono depositate le proprie tracce della fisicità di una materia che egli, da bravo alchimista adopera in giusto dosaggio per le sue pitture. È questo il sustrato teorico di una ricerca avanguardistica che gli serve da pretesto per esternare il proprio io, e le relative sfaccettature pirandelliane che ognuno di noi è condannato a custodire. Una pittura la sua in rapporto effettivo – affettivo con il pensiero esistenziale (a questo proposito poiché poc’anzi si è usato il termine muro, come non rammentare la notissima opera di Sartre del ’39 dal titolo “Le Mur”? Indubbio mi sembra il suo timbro filosofico e dire anche epistemologico che porta a ricordare come Piattella sia laureato in farmacia; timbro logico-scientifico che non impedisce il cammino spedito verso una finezza e una sensibilità lirica.
Leo Strozzieri
Dei vari momenti dell’ormai ampio e consolidato percorso artistico di Oscar Piattella un tratto caratteristico è la serialità, ovvero quel modo tutto suo di individuare un tema poetico essenziale, di identificarlo dapprima tra le ombre diuturne dell’inconscio, di collocarlo e di reiterarlo in uno spazio, o meglio di farvelo sorgere dentro come per un effetto di concrezione di campi matrici in movimento, di inventarsi una forma tale da farlo accedere alla rappresentazione, di cercare nella natura quanto di minerale o di vegetale sappia farne pittura. Accade così che foglie o loro calchi, ghiaia, o sassolini, frammenti o grumi di varia natura, conchiglie o altro ancora affiorino in rilievo sulla tela irruvidendola, quasi a volerne violare ogni rassicurante estetismo plastico attraverso un cammino a ritroso teso alla ricostruzione fisica e mentale di uno spazio originario e pre-umano, preistorico, dove solo corpo e sola pelle siano quelli della terra e la presenza animale e umana sia unicamente traccia, impronta, presagi, fossile, lunare landa dello sguardo. Insomma un dipingere il mondo usandone i frammenti, sovrapponendo ad esso la coloritura onirica della propria visionarietà artistica. Ma se fosse solo così, si potrebbe credere sì ad un mero esercizio di tecnica e riproposizione dell’esistente attraverso la scelta e il riassemblaggio delle parti in un tutto, mentre invece, ed è più quanto fa la differenza, lo strumento materico e il reperto naturale e archeologico (o meglio archetipico e simbolico) è assoggettato ad un accuratissimo lavoro di scavo e di reinvenzione in virtù della specificità dell’esercizio pittorico che fa delle cose prese ed elette a forma altro dalla loro identità originaria mediante il taglio, la limatura, la collocazione sulla tela, l’intarsio, il frottage o l’incollaggio.
Fabio Scotto
È in quel luogo ai piedi dell’Appennino, che l’artista opera, con lucida coscienza e, al tempo stesso, con l’acutezza di uno sguardo metaforico; quella carica le sue “tavole” (Piattella, per dipingere, usa tavole di compensato multistrato fissate su telai di legno) di una fascinazione magica, che da sempre connota il suo lavoro e che, in questo ultimo stadio, lo specifica con un personale slancio verso la rivelazione e la luce, espresse con un’implacabile dialettica dei materiali: terre colorate, carbone, antracite, grafite, oro, madreperla. Con essi Piattella, nel corso degli anni, ha definito l’accrescimento della vitalità che si sprigiona, appunto, anche dal conflitto degli stessi. A me è parso subito con chiarezza, quando lo conobbi nei primi anni Settanta (mi riferisco al secolo passato) che ormai Piattella avesse tagliato fuori con decisione il momento della contemplazione e sicuramente, in quel tempo, era proprio così.
Vitaliano Angelini
2005
Sottostà al brulichio una trama vegetale che sfrutta la pausa con sagome addolcite, nella capacità della forma di interrompere la sua prigionia. È struttura governata non tanto dalla sovrapposizione delle figure, quanto dalla conformazione naturale del fogliame, che guida attraverso le venature lo sguardo errante dello spettatore. È il talento che ha la foglia di farsi immagine, non per addizione di significati, ma perché filtro di conoscenza in quanto natura, memoria, rivelazione. Lo spazio si affolla, ai margini della negazione del vuoto. Come una terra di confine, che nel tentativo di travalicare il limite viene interrotta, sancendo ulteriormente la distanza tra i due gradi di organicità. Uno scorcio, un viale di foglie cadute che svanisce bruscamente nell’asfalto. Acquisterebbe così più senso la delimitazione netta, nel tentativo di dialogo, se possibile tra natura e progresso dell’uomo. Da un lato la freddezza dell’uniforme, della raziocinante esigenza umana, dall’altro il caos che la natura dona alla realtà.
Elena Piaggesi
– Questo è il nostro dono – dissero accorati i due – perché così possa compiersi il tuo disegno: l’oro dei nostri maestri s’unirà agli altri tuoi materiali preziosi; la terra e il cielo potranno confrontarsi di nuovo, così le rive e le foglie racconteranno di passaggi che non hanno annientato la loro bellezza; le terre di sangue saranno campi di luce… così le pagine leggere di polline o di neve: esse saranno più di se stesse. Sentimento del tempo e accoglienza delle lontane materie e delle vicine, convivenza dei paesaggi. Poi, ritorneranno gli umani, i dispersi se stessi, alle tue nuove dimore… – Così tutto d’un fiato parlano i due mercanti fiorentini. Poi risalirono sulla navetta e presto scomparvero alla vista agitando le mani in segno di saluto. Noi restammo muti, osservando il miracolo della ripartenza e della scomparizione… – Ora ho tutto ciò che ho cercato!.. – pronunciò commosso l’amico fattore – Germinazioni e concrezione terrestri, resti vitali di superficie e fondali, colori e forme naturali, immaginazioni celesti… Ora posso andare… Dunque tocca a te, maestro del canto perduto della terra!.. ricrea la bellezza e la luce che ci abbagliarono da bambini!.. Noi, intanto, torneremo ai nostri più interni lidi. (E anch’io, così, tra malinconia e fiducia, presi congedo dal sogno. Tra le nature inesauste di Oscar Piattella, nella sua officina cantianese.)
Eugenio De Signoribus
2006
E come non è tanto come quella del volare, quanto quella del posarsi sul fiore che l’immagine della farfalla evoca, così la pittura di Piattella non sembra ratta levarsi verso chissà quali cieli infiniti, ma piuttosto calarsi nella lenta, espansa profondità d’ogni elemento della natura. La titolazione delle opere ha del resto espliciti rimandi alla terra (campi, montagne, erba, fiori, alberi, muschio…), al cielo (nuvola, vento, neve…), all’acqua, al fuoco. A tale ambito naturalistico vengono ricondotti termini il cui campo semantico è antropologico: quelli del respiro, della carezza, degli occhi. Passato dall’esistenziale all’esistente, Piattella entra naturalmente nella materia, nel colore, nella forma del mondo: il passo è impalpabile, il silenzio perfetto, assoluto il rispetto. Il mondo all’ora è un’altra cosa. Così l’arte, che deve ridare materia, colore, forma al mondo, crea un altro mondo. Dice Piattella: “Il pittore non vede l’invisibile delle cose ma solo le cose che non ci sono”.
Michele Polverari
2007
C’è una strada da compiere: Piattella sta andando oltre. No sa fermarsi, avanza, ardito, eccitato della scoperta dell’arcobaleno. Adesso i colori si moltiplicano. E quando credi di aver capito la sua capacità di interpretare le leggi della natura: “Ma no – ti corregge – c’è qualcosa nella natura che non si vede. Non si vede perché non c’è, in atto. C’è però quello che tu ci leggi, quello che ci vedi. Ogni quadro dà allo spettatore un suo messaggio: che però non appartiene più a me che lo dipingo, ma diventa il tuo, di te che lo guardi”. Un momento, non sono fiori, finestre, diamanti, cortecce, colline, case, quelle che si affacciano di tra geometrie luminose, che a noi sembrano infine spalancate sul reale? “Ma cos’è il reale? – ragiona Piattella. – È rappresentato dal fraseggio geometrico che incastona le piante, o da questi squarci di natura, come sarebbe più logico pensare? Per me è più reale la logica; più reali sono gli schemi che non vedi nella natura e che io leggo, e immagino così.” Indica, seguendo col dito l’incrocio di due assi ortogonali.
Lucilla Niccolini
La forma colore, come unità di misura di tutte le cose, come libero e autonomo linguaggio che è, senza mediazioni e immediatamente, anche contenuto, guida da sempre il lavoro di Piattella. La sintesi, è chiaro, non risiede più nel ferreo controllo della rinascimentale prospettiva ma nella magica e lucida indagine della materia che si fa luce. In fondo, come ho già avuto modo di sottolineare, una luce evocativamente analogica a quella di Piero: una luce – degli stessi luoghi, tra l’ altro – che cerca le ragioni e la poesia delle cose. Ma Piattella è altresì un sublime alchimista: viene da pensare a quella laurea, forse solo apparentemente senza seguito, in farmacia. Un impulso -e anche un sapere concreto- alle analisi degli elementi, alla mescolanza dei componenti, inseguendo quella formula che salva, che rigenera, ma solo se sapientemente predisposta, pazientemente assemblata, appassionatamente coltivata. Il tutto reso possibile da un’ aura di magia, che lo accompagna sempre, lo segue, lo avvolge, segreto dei grandi, che non potremo mai penetrare del tutto e dunque avranno sempre qualcosa da dire…
Anna Maria Ambrosini
2009
Ma ciò non potrebbe accadere se un terzo elemento non entrasse nella scena della rappresentazione pittorica. Sto parlando della luce che è un dato di fondamentale importanza nell’arte di Piattella. La luce intrinseca all’opera, ma anche quella esterna, captata dalle atmosfere circostanti oppure risolta, all’interno del composto materico, da quell’oro che il bravissimo artista manipola con perizia pari a quella degli antichi maestri bizantini o medievali. Ho avuto modo in un’altra circostanza, di scrivere che la sua “pittura si fa ritualità, liturgia” e che “rimanda all’idea del Trascendente, dell’Assoluto, dell’Altro da sé”. L’ho fatto in margine alla mostra personale di Palazzo Gradari a Pesaro dell’anno 2002. Oggi confermo quelle parole, non senza rinnovare la mia convinzione che la pittura di Oscar Piattella è l’equivalente di versi pittorici di alta qualità. Al pari di quelli scritti dal suo grande amico ed estimatore, il poeta francese Yves Bonnefoy.
Armando Ginesi